Dal Picco del Petrolio alla Rivoluzione dello Shale, per gas e petrolio ovviamente, il comparto energetico subisce un cambiamento che in apparenza è globale ma alla luce dei fatti è tutto in favore di un ribilanciamento Usa nello scenario mondiale dell’Oil Game. Sì, perché’ come già rammentato in passato l’attuale Amministrazione Obama sia sul fronte domestico che internazionale ha mostrato più di un’incertezza e fornito prove incolori, ma la rivoluzione energetica in atto negli Usa insieme all’opera esemplare della Fed hanno fatto la differenza sul PIL attuale e sulle prospettive di crescita economica del prossimo biennio, nonché’ sulle dinamiche degli investimenti.
Inoltre le difficoltà estrattive legate all’ottenimento di petrolio e gas dalle rocce, cosiddette shale, e quindi l’esigenza costante di nuovi pozzi per mantenere una produzione costante non è replicabile altrove. Infatti entro un anno dall’apertura del giacimento immediatamente sfruttabile si perde il 50% della produzione ed al quinto anno non ne rimane che il 10% della produzione iniziale .Attualmente solo gli Usa sono in grado di garantire tecniche di perforazione e rinnovo dei pozzi in efficienza, e poi non bastano le risorse tecniche e geologiche , ovviamente anche la possibilità di acquisire diritti minerari dai privati che possiedono i terreni sfruttati e la bassa densità’ abitativa delle zone più ricche di shale fanno la differenza.
Le compagnie che investono nello shale , da quelle giapponesi a quelle indiane, devono sono quindi analizzate dai gestori di fondi con estrema attenzione perché’ l’investimento dipende anche dalla localizzazione sub regionale. Ad esempio il più grande giacimento del mondo Marcellus situato nel nord est degli Usa vede livelli produttivi a break even molto diversi a seconda delle contee ove son situati i pozzi e quindi le concessioni hanno valori ben diversi a seconda della logistica. Se poi tra 10 anni, onde evitare effetti indesiderati spiacevoli effetti interni come nel caso russo, gli Usa iniziassero ad esportare petrolio e gas è facile immaginarne le conseguenze. In ogni caso la loro situazione competitiva sul mercato a tendere è evidente.
Nel recente report di S&P del Gennaio 2014 si pronosticano prospettive dinamiche per il settore gas e petrolio per quest’anno, con Cina e India in testa a guidare la domanda e Usa e Canada sempre più indipendenti grazie alle risorse interne via shale o sabbie bituminose rispettivamente. Inoltre vengono previste esportazioni di GNL (gas naturale liquefatto) da parte di entrambi dalla seconda’ metà di questa decade. Quindi le previsioni puntuali per un WTI a 90 $ e Brent a 100 $ si basano sul prosieguo degli attuali livelli di richiesta da parte dei Paesi emergenti e legano il mantenimento del rating delle compagnie coinvolte nel settore E&P (Esplorazione e Produzione) ai livelli indicati. La Cina poi ha fatto una dichiarazioni di intenti molto chiare nel suo dodicesimo Piano quinquennale, (che già comprende anche la produzione da shale), al riguardo della riduzione della dipendenza dal carbone e le nuove leve di potere sembrano decisamente meno disposte a strapagare gas e petrolio, (come avviene ora di quattro o cinque volte il prezzo di mercato per il GNL), in nome di una fobia da approvvigionamento che non ha più senso d’essere. Quindi c’è da aspettarsi che aldilà dell’intensificarsi delle politiche di approvvigionamento nel continente africano, la Cina in accordo con il Giappone inizi a dettare le regole del prezzo del gas e quindi a fare il market maker, e parimenti implementi sul territorio la ricerca di nuove fonti di energia, in particolare sull’eolico.
Tornando così ai mercati di riferimento attualmente il prezzo del gas si mantiene sopra i 4M Btu (British Termal Unit) soprattutto a causa del grande freddo, perché’ la grande quantità di gas, incrementata anche dalla vicinanza ai giacimenti originali anche di shale gas ulteriormente sfruttabile, lo farà probabilmente rientrare sotto la soglia dei 4M. Con Russia, Canada, Giappone e Cina in testa ai produttori. Mentre per i petrolio il discorso è più complesso.
Se consideriamo il fatto che entro due anni gli Usa balzeranno con ogni probabilità al primo posto per la produzione di petrolio, grazie allo shale oil, e tenendo presente che da parte dei produttori stessi il 70% della produzione di quest’anno risulta coperta con hedging puntuali sopra i 90 $ del WTI, occorre valutare una domanda globale pari ai 90ml bpd (barili al giorno) rispetto alla capacità produttiva totale di 99 ml bpd, nel 2011 erano solo 91 ml.
La capacità produttiva totale comprende anche la capacità inutilizzata, soprattutto dall’Arabia Saudita che tende a controllare i prezzi OPec, e da quella bloccata per le ben note vicende in Libya, Iraq, Nigeria e Iran. Concludendo dal picco della domanda degli anni ’80 si son sottostimate le dinamiche demografiche che hanno portato ad un invecchiamento della popolazione e ad uno standard di efficienza energetica nel settore auto. D’altro canto le esigenze di petrolio e gas dei mercati emergenti, e non solo, son state sovrastimate essendo ormai consolidata la corsa alle rinnovabili.
D’altronde similarmente a quanto sta avvenendo in Cina, basti pensare all’esempio della Spagna che, nell’ultimo anno e nonostante la crisi è riuscita ad incrementare a le sue fonti, ed è proprio l’eolico, con il 21.1%, ad aver superato la produzione rispetto al nucleare. Così nel 2013 le emissioni di gas serra si son ridotte di oltre il 20%, e la produzione di energia idroelettrica è raddoppiata. Le energie rinnovabili sono ora al 49% del fabbisogno nazionale a dimostrazione che con una politica energetica efficiente si può fare la differenza, anche in assenza di replica made in USA o Cina. La realtà quindi è che il 2014 potrebbe segnare l’inizio di un’inversione di tendenza per il prezzo del petrolio, e quindi faccia segnare un “picco del prezzo” più che della disponibilità, parimenti a quanto già è percepito per il mercato del gas, quindi facciamo i nostri dovuti conti su cosa implica per la crescita globale dal 2015 e per gli equilibri mondiali avere una bolletta energetica in calo grazie al riposizionamento sui mercati del petrolio e del gas di Usa e Asia, a scapito dei ritardi UE.