Le dinamiche del cross EURUSD restano al centro del dibattito dopo un ritracciamento seguito alla correzione avvenuta sui mercati obbligazionari, soprattutto governativi, e azionari subito seguito da un recupero grazie a nuovi acquisti sulla divisa statunitense. Un movimento che esalta tattiche e strategia per costruire portafogli alla prova della volatilità e quindi di previsioni che spesso vengono cambiate in corsa ed affrettatamente.
Esattamente come le aspettative sul petrolio, che vedono gli analisti scontrarsi sul quadro di medio /lungo termine, e che pare abbian trovato un equilibrio perlomeno di breve a ridosso dei 60 dollari Usa del WTI, livello al quale i sauditi non devono mettere mani alle riserve internazionali. Così’ tutta l’attenzione degli operatori è concentrata su due grandi incognite, ovvero la crescita effettiva degli Stati Uniti e della Cina. Da ciò’ dipenderà’ l’orientamento dei flussi di investimento che sin dall’inizio dell’anno si son mossi in ambito G8 prevalentemente tralasciando alcuni Paesi Emergenti, con deflussi di oltre 15 mld di usd in Maggio, con evidenti problemi di “identità'” politica come Turchia, Nigeria, e Venezuela. Ma dietro questa disaffezione per gran parte del mondo emergente si nascondono le incertezze che avvolgono quel continente dal quale tutto è iniziato con il Piano dei Brady Bonds e le ristrutturazioni che sin dagli inizi degli anni ’90 hanno plasmato la diversificazione sugli Emerging Markets partendo dall’America Latina.
L’attuale congiuntura impone un cambiamento di passo per Paesi che tradizionalmente hanno dominato la scena mondiale forti di una posizione dominante sulle esportazione di materie prime, sul commodity trading e quindi cavalcando un trend crescente di FDI, flussi di investimento dall’estero, e di rimesse a finanziare deficit e consolidare le loro bilance commerciali. Ora il dominio del commercio mondiale e’ tornato nelle mani dei Paesi sviluppati ed e’ venuta l’ora di modificare il modello economico rendendosi maggiormente indipendenti dalle commodities, proteggendo l’ambito sociale e la classe media, che rappresenta un terzo della popolazione, e recuperando dalla deriva sacche di povertà’ nuovamente crescente.
Dopo 4 anni con il petrolio a ridosso dei 100 dollari usa al barile il drastico calo ha colpito l’export colombiano per il quale pesa al 61% nell’esportazione di commodities, per non parlare del calo dei prezzi della soia che copre il 51% dell’export argentino o del rame che conta per il 94% nel Cile ed il 52% in Perù, per finire con l’acciaio pari al 30% dell’esportazione di materie prime in Brasile.
L’America Latina deve tornare ad essere competitiva per non cedere definitivamente allo strapotere asiatico, anche se al contempo non può’ evitare di mantenere una stretta alleanza con la Cina come evidenziatosi nella recente visita del Premier cinese Li e a suggellare numeri importanti sull’interscambio commerciale ora pari a 260 mld di dollari usa e piu’ di 80 mld solo di investimenti cinesi nell’area che di fatto ad oggi hanno evitato il default al Venezuela!! Il colosso brasiliano Petrobras dal canto suo uscito lesionato nel profondo dallo scandalo che ha scosso le fondamento del Top Management delle Corporates brasiliane è parte preponderante dell’accordo firmato con la Cina per oltre 53 miliardi di dollari Usa di investimenti dei quali 7 son rivolti proprio a Petrobras. Li ha proseguito il suo viaggio di fine Maggio poi in Colombia, Cile e Perù elargendo a piene mani.
Dai lavori del WEF , World Economic Forum, tenutosi recentemente in Messico la profonda instabilità’ sociale ed il fallimento di una nuova pianificazione urbana insieme alle incertezze governative rappresentano il tallone d’Achille di economie che non hanno saputo rinnovarsi di fronte al mutato scenario globale e senza mai puntare ad un rinnovamento strutturale profondo e convinto. Solo il Messico ha saputo, con una coraggiosa riforma energetica ed intervenendo sul settore delle telecomunicazioni, fare la differenza.
Ma occorre ricordare che un calo del PIL in Cina dell’1% pesa tra il 3% e l’8% sui prezzi delle commodities globalmente.
Il 2014 si e’ chiuso con una crescita dimezzata rispetto alle stime IMF all’1,4%, il 2015 vedrà’ contrarsi il dato ulteriormente all’1% dopo oltre un decennio di Pil mediamente al 5% e calcolando che un ulteriore 10% di apprezzamento del dollaro Usa costerà’ tra 0,5 e 1% del Pil latinoamericano.
Con un debito pubblico mediamente ancora sotto il 50% un po’ di spesa pubblica e di ricetta modello Spagna soprattutto per alcuni dei Paesi Latam sarebbero salvifiche anche perché’ il sistema bancario è sano e ben finanziato, tranne la solita eccezione venezuelana. Si sente odore di QE per chi se lo potrà per mettere anche da questa parte del Pacifico ma in questo caso le esigenze di liquidità’ devono supplire l’erosione dei flussi di capitale ed un momento di impasse nelle scelte di approdo dei flussi di portafoglio che hanno perso lo spirito della “scoperta di Colombo”.