Dopo la perdita della maggioranza assoluta del partito di Erdogan, il paese è a un gradino dalla discesa nell’arena dei Paesi non- investment grade. Con la divisa che continua a svalutarsi.
Notti insonni per l’erede del feroce Saladino che scommetteva sul Rinascimento Ottomano. Da una delle tante terrazze del suo palazzo da mille stanze, più immenso di Versailles, Erdogan non si capacita del risultato elettorale.
Ergodan ha messo in campo una macchina governativa potente che da mesi controllava tutti i social e internet e che ha messo sotto pressione le minoranze da mesi, in primis quella curda che nelle sedi del suo partito HDP ha subito attentati e incursioni, ma nulla ha potuto contro l’istanza di una democrazia vera da parte dei turchi.
Lo spettro del padre della Patria, che ha visto molti dei suoi ritratti eliminati da luoghi pubblici e storici, torna a sorridere sulle sorti di un Paese fondamentale per il riassetto degli equilibri mediorientali.
La politica estera ambigua di Erdogan che ha – di fatto – aiutato l’Isis e altre fazioni più estremiste come Hamas, permettendo e voltando le spalle all’assedio di Kobane, lo ha visto toccare il fondo nonostante i complici silenzi europei sulla questione genocidio armeno. I numerosi e diffusi villaggi del Paese gli hanno permesso di mantenere un 40%, volendo tralasciare lo scandalo delle schede dei voti all’estero non conteggiate regolarmente.
Il Presidente turco, dopo l’incontro con il Premier Davutoglu, accoglierà le sue dimissioni data la perdita della maggioranza in Parlamento e dovrà essere designato un nuovo Premier. Il partito AKP, trascinato al di sotto della maggioranza assoluta dei 276 seggi dal sogno conservatore del Presidente che ha girato da anni ormai le spalle al secolarismo fondante del Paese, è all’affannosa ricerca di un partito per formare una coalizione ma le prime dichiarazioni vedono il diniego di tutti i partiti nonostante gli scenari possibili. Ciò che è certo che con l’affermazione del partito curdo democraticamente oltre la barriera del 10% il Processo di Pace che ne seguirà riavvicinerà le aree dell’Anatolia dell’Est e del Sud al resto del Paese.
Inevitabile la correzione sul mercato azionario e sulla divisa, peraltro da sempre intrappolata in un processo di svalutazione strisciante di lungo termine, nonché l’allargamento dei CDS con l’intervento della Banca Centrale sulle linee emergenziali di impiego verso le banche turche.
E le case di rating che con una certa leggerezza da sempre avevano sostenuto la presunzione di un modello di Governo “islamico moderato” non hanno ravvisato i netti cambiamenti di rotta dell’ultimo mandato e le relative conseguenze di impatto sui flussi di investimento e di portafoglio esteri. Così il rating fu elevato a investment grade senza molta lungimiranza e ora si trova in bilico a un gradino dalla discesa nell’arena dei Paesi non- investment grade.
Il tempo stringe per evitare il downgrading avendo perso l’opportunità di sfruttare adeguatamente la caduta dei prezzi petroliferi ma nulla è perduto. Ci vorrà un po’ di tempo per ripristinare un nuovo corso politico e dar forza ai partiti usciti rafforzati dalla sconfitta dell’AKP per organizzarsi con un nuovo Governo peraltro caratterizzato da un numero elevato di volti nuovi.
Un ricambio necessario anche per arginare i colpi di coda di un Erdogan che da oggi dovrà fare il conto con la frantumazione di un sistema clientelare che aveva permeato il tessuto imprenditoriale domestico capillarmente. Il mercato turco sarà presto un’opportunità interessante fuori dalle spirali della volatilità, che sappiamo le situazioni di impasse politico generano inevitabilmente, Grecia docet.