I numeri per l’UE sono inquietanti: 100 mld eur ed anche 2.5 ml di posti di lavoro si perderanno quest’anno per le sanzioni imposte alla Russia, dei quali oltre 200mila solo in Italia e 465mila in Germania, secondo una ricerca WIZO. E come se non bastasse è arrivata immediata la risposta russa che ha ampliato è prorogato le sanzioni di altrettanti 6 mesi contro le importazioni dall’Occidente includendo a fianco dei prodotti alimentari del paniere originario quelli derivanti da floricultura, acquacoltura e quelli delle multinazionali dolciarie nei confronti di Unione Europea, USA, Australia, Canada e Norvegia. Inutile dire che i danni maggiori son verso i Paesi europei.
Riassumendo stiamo pagando un prezzo salatissimo per una crisi ucraina, Paese non appartenente alla Nato, vissuto sino a un anno fa sulle copiose sovvenzioni russe con un livello di corruzione tra i più alti al mondo e una situazione economico finanziaria in bilico già da due anni testimoniata tra l’altro da un rating CCC invariato dal settembre 2013 appunto. I calcoli di Bruxelles sull’impatto delle sanzioni si son dimostrati largamente inattendibili ed hanno sottostimato l’inevitabile controreazione russa.
Ma ciò che è ancora più evidente è che l’Unione Europea presa in mezzo in questa situazione dagli interessi americani per riconquistare posizioni nei Paesi dell’Est Europa, che a breve riceveranno un cospicuo incremento degli armamenti made in Usa sul loro territorio, ha perso di vista anche le conseguenze di lungo termine senza poterselo permettere.
Infatti la sempre più stretta alleanza con la Cina ha permesso alla Russia di rivolgere il suo sguarda ai mercati asiatici con maggiore attenzione ed in particolare sull’industria energetica riducendo così l’impatto delle sanzione sull’industria domestica del petrolio e del gas e lasciandoci in balia di un affannosa ricerca di diversificazione decisamente più onerosa, per i costi accessori, data la dipendenza al 75% proprio dalle risorse energetiche russe.
Ed i danni si son estesi anche a quei Paesi che hanno aderito al processo sanzionatorio come nel caso della Svizzera che perderà 45mila posti di lavoro, tra i quali 5 mila solo nel settore del turismo, Perché’ come ovvio i facoltosi turisti russi si stanno rivolgendo altrove per le loro mete turistiche tra Dubai, e mete asiatiche, evitando come la peste le mete europee. A completamento di un quadro già sconfortante pure il Premier greco Tsipras ha trovato il tempo di criticare le decisioni dell’Unione Europea e come si sa il suo recente viaggio a San Pietroburgo lo inserirà’ nella nuova rete dei progetti sulle pipeline russe, il Turkish Stream , ovviamente dopo aver incassato dall’UE. Non bisogna quindi stupirsi dell’atteggiamento ostile dell’IMF, guidato a maggioranza di voti Usa, che ha messo i bastoni tra le ruote al negoziato greco in ogni modo arrivando addirittura a menzionare una riduzione delle spese militari greche tra i vari tagli proposti.
Con i nuovi organismi multilaterali dei BRICS e cinesi nati come risposta alla mancata messa in opera di riequilibrio dei poteri di voto a favore dei Paesi emergenti da parte dell’IMF e gli sviluppi seguiti a questa vicenda delle sanzioni russe, l’UE rischia danni ancora maggiori oltre a quelli commerciali già evidenti. L’internazionalizzazione della divisa cinese infatti corre a grandi passi e la Russia forte delle ingenti riserve valutarie ha svoltato definitivamente dalla fase di burrasca sul rublo, ed ha cavalcato abilmente la debolezza valutaria per un rilancio dall’interno grazie anche ad una capacità di sopportare certi sacrifici di imprenditori e popolazione che negli ultimi 10 anni hanno vissuto un’epoca d’oro per l’economia russa.
Si potrà all’infinito discutere sull’autoritarismo di Putin ma ciò che è certo che un Paese delle dimensioni della Russia è difficilmente gestibile in piena democrazia, esattamente come la Cina. Sulla crescita europea oltre alla deriva economica greca da gestire quindi ora avremo i costi del divorzio russo, ai quali si somma la bomba immigrati e i costi per l’Ucraina, il tutto compresso tra il protezionismo americano e l’indifferenza asiatica. E se la divergenza delle politiche di tasso tra BCE e Fed ha rappresentato negli ultimi mesi senz’altro un terreno fertile per ampliare la volatilità’ sui mercati finanziari, la fase che stiamo vivendo vede i rischi politici amplificare nettamente la percezione dei rischi di mercato nonostante dati economici in miglioramento, per quanto modestamente, e soprattutto in Europa e minati da un quadro geopolitico che si avvia verso un “rigido inverno”.