Il raddoppio del Canale di Suez segna la riscossa dell’Egitto dal punto di vista economico, dopo quella politica e militare. E anche gli investitori esteri tornano a guardare al paese con interesse…
L’eredità delle primavere arabe non ha lasciato concretamente un modello politico rinnovato e alternativo alle case regnanti dei Paesi islamici della Penisola Arabica e del Maghreb o ai dittatori africani. E mai come ora il mondo ha preso atto anche del fallimento del modello di governo islamico “moderato” di Erdogan in Turchia, naufragato nel rapporto ambiguo con l’Isis e con l’Iran e con quattro anni di dura repressione delle minoranze etniche e delle opposizioni.
Di fronte alla recrudescenza degli attacchi alle popolazioni da parte dei terroristi islamici dell’ISIS, dei Boko Haram e di tutte le altre fazioni terroristiche già attive nell’area del “califfato” agognato dalla follia di Al Baghdadi, che va da Roma all’Africa Centrale passando per il Medio Oriente, non mancano poi di distinguersi Hamas ed Hezbollah.
Frange estremiste queste ultime affiliate ai Fratelli Musulmani che sono stati combattuti violentemente dal Presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ligio alla sua promessa fatta al popolo di una rinnovata era stabilità politica e sicurezza.
Come un moderno faraone non è mancata una repressione cruenta iniziale, finanziata anche dai Paesi del Golfo (GCC), giustificata anche da una posizione intransigente nei confronti dell’estremismo islamico, e quindi dell’ISIS e dei Fratelli Musulmani. Anche Obama, che si era affrettato nella consueta incapacità a comprendere il mondo islamico a supportare il predecessore Morsi con cospicui finanziamenti, ha dovuto ricredersi rilanciando il dialogo strategico con l’Egitto con una fornitura di ben otto F16 e cancellando le critiche al colpo di Stato del 2013.
L’inaugurazione della nuova via che, di fatto, incrementerà esponenzialmente l’attività del Canale di Suez segna la riscossa dell’Egitto dal punto di vista economico dopo quella politica e militare. Quarantatremila lavoratori e 80 società hanno lavorato per un anno per consegnare i primi risultati dei lavori di raddoppio del canale.
Con un certo rammarico constatiamo che, nonostante l’Italia partecipò al consorzio e con Negrelli fece addirittura il progetto del Canale di Suez originario che portò all’inaugurazione storica del 1869, questa volta siamo stati tagliati fuori. Il progetto si svilupperà ulteriormente e si completerà nel 2030, proseguendo poi verso uno sviluppo regionale più ampio sin al 2045. Per la prima volta il Governo è ricorso ad un’emissione di certificati quinquennali sottoscritti dalla popolazione per oltre 8 mld di dollari Usa con un rendimento del 12%.
Con una disoccupazione ancora a due cifre e a ridosso del 10%, un tasso di analfabetismo del 25% e un reddito pro-capite vicino agli 11mila dollari Usa, tra i più bassi della regione, ci si può immaginare come la mossa di Al Sisi miri ad un rilancio che va al di là di un PIL (comunque incoraggiante che supererà quest’anno il 4%) e sia mirata ad una ripresa degli FDI, cioè i flussi di investimento diretto dall’estero e degli scambi commerciali.
Le dinamiche degli investimenti strategici dall’estero permanevano negative nel periodo di massima incertezza tra il 2011 e il 2014, ma ora grazie anche alla nuova Agenda economica del Governo si vede già nel 2015 una svolta in positivo. Priorità sono l’autosufficienza alimentare e una riforma energetica che metta fine all’inefficienze dovute all’inadeguatezza delle strutture, ai sussidi interni particolarmente gravosi sino ai continui black out.
Un notevole impegno sarà anche profuso sul consolidamento e rinnovamento del sistema bancario e dei servizi finanziari con la Borsa del Cairo EGX30 che ha chiuso il 2014 con una performance del 29.41%, salvo vedere dal mese di febbraio una correzione del 10% circa dovuta in massima parte ad una ripresa degli attentati nella capitale e nella Penisola del Sinai, fatti che mettono a dura prova la messa in sicurezza del territorio promessa dal Governo.
Le scie degli F16 sfrecciati sull’opera faraonica hanno riscaldato senz’altro i cuori degli egiziani e anche degli investitori che tornano a guardare con interesse all’Egitto, un Paese che diventa sempre più cruciale per la lotta al terrorismo islamico, anche per l’Europa, nel tentativo di bloccarne la diffusione in un Maghreb sempre più destabilizzato in Libia, Tunisia e Algeria.
Il ritorno dell’esercito al potere in Egitto ricorda un altro importante leader come Ataturk, il padre della patria secolare in Turchia, e sembra confermare che a fianco delle monarchie sunnite dei Paesi GCC e del Marocco non esiste alternativa al potere militare in un momento di implosione dello scontro all’interno del mondo islamico, esacerbato dal conflitto siriano, e che trova nell’ISIS una minaccia incombente e crescente politicamente ed economicamente.