Volendo ridimensionare la tempesta valutaria cinese di quest’estate ad un mix tra questioni politiche nei rapporti Usa-Cina , come dimostrato dall’esito incompleto della visita del Premier cinese negli Stati Uniti, ed un effettivo ma non drammatico rallentamento dell’economia cinese il vero tallone d’Achille della crescita globale sono i Paesi Emergenti.
E’ noto a tutti che la Yellen non ha alzato i tassi per le preoccupazioni sulla crescita globale , quelle stesse preoccupazioni rimarcate da Draghi nell’ultima conferenza stampa e dietro queste affermazioni ci sono le risultanze del nuovo World Economic Outlook in via di pubblicazione da parte dell’FMI ma già ampiamente chiacchierato nelle sale operative.
La crescita globale stimata al 3,3% per quest’anno ed al 3,8% per il prossimo anno sarà rivista anch’essa insieme alle stime sui Paesi in difficoltà’. Basti pensare alla situazione dell’Arabia Saudita che ha speso oltre 70 mld di usd di riserve internazionale per colmare l’ampiamento del deficit dall’inizio del calo del petrolio ed ha avviato importanti dismissioni tra i 50 ed i 70 mld di dollari Usa nell’investimento in fondi negli ultimi sei mesi per due motivi: ripararsi dal rischio e portare a casa utili e finanziare la campagna militare in Yemen e contro l’ISIS. E se i fondi sovrani dell’area del Golfo tirano i remi in barca vi sono per contro Paesi alle prese con gravi crisi valutarie ed in primis Brasile, Turchia, Russia, Indonesia e Malesia. Questi ultimi vedono le loro divise ai minimi della crisi asiatica del 1998.
Tanto che la Russia ha chiesto un posticipo di Basilea3 a causa della crisi in corso e degli aggravi che evidentemente peserebbero sui sistemi bancari internazionali dall’entrata in vigore di standard restrittivi e implementazione di monitoraggi estremamente onerosi.
Molti gestori stanno sottovalutando la crisi degli emergenti e così investitori che si illudono dei prezzi bassi e di qualche giorni di rimbalzo delle valute senza guardare alle effettive difficoltà di stabilità’ economica nella quale versano questi Paesi , e se pure la Cina nel discorso all’ONU cita un’iniziativa di sostegno al debito dei Paesi , soprattutto africani e latinoamericani, di diversi mld di dollari Usa richiamando l’attenzione su un Piano che vada oltre ciò che è stato fatto con il Millenium Goal c’e’ da riflettere.
I mercati dei bond in divisa locale e non solo sono sostanzialmente illiquidi. Vi sono state vendite pesanti sul debito sovrano in LatinoAmerica , ed il legame del continente alle commodities sta penalizzando ogni idea di reinvestimento nel breve. Uniche eccezioni: Messico e Perù tra i principali. Il problema principale resta il debito delle Corporates dove l’attività di quotazione e di trading è sempre più rarefatta , con molti market makers poco disponibili a quotazioni efficienti e quindi a “stringere gli spread” fin quando la situazione non rientrerà alla normalità.
L’indice EMBI sui bond in divisa forte e sulle azioni resta ancora positivo da inizio anno grazie alle performance di Russia , Ucraina, Venezuela e Argentina .Ma non bisogna escludere una ulteriore onda di presa di profitti su questo lato in vista della fine anno. I livelli di indebitamento rispetto al PIL son tornati a crescere così come i deficit e d’altro canto con la diminuzione dei flussi di investimento dall’estero , dell’interscambio commerciale ed il permanere di un prezzo del petrolio basso la spirale negativa sui Paesi maggiormente esposti a queste variabili, ( prezzo del petrolio, FDI e rimesse dall’estero), si è innescata lasciando a Governi spesso con gravi difficoltà politiche difficili decisioni da prendere. L’unico paradiso quasi intatto è l’area dell’Europa Centrale e dell’Est che ha reso il posto rappresentato dal Latam nel pieno della crisi russa l’anno scorso. Gli investimenti in Polonia , Ungheria e in parte in Russia sulle emissioni in dollari Usa e euro continuano indisturbati anche in pieno caos europeo da flussi migratori . La partita immigrazione come sappiamo ha subito un’accelerazione a causa dell’inazione americana ed europea ad una soluzione al conflitto siriano, cio’ che sta succedendo era inevitabile e questo ha costretto alla reazione conservativa i Paesi arabi tra i maggiori investitori su investimenti di lungo termine in Europa dopo i cinesi. Per chi vuol perdere tempo ad evocare la correzione cinese sulle ali della fantasia manca forse la percezione di una parte cospicua del G20 in gravi difficoltà , e che vede il peso dei principali mercati mergenti rappresentare circa il 50% del PIL mondiale ed oltre il 70% della popolazione mondiale mentre l’altra metà vede i Paesi sviluppati rappresentarne solo poco più del 20%, con evidenti esiti su costi sociali ed economici .