Il recente attacco terroristico di Parigi ha spinto verso l’alto l’indice della volatilità dei mercati finanziari (il VIX), mentre le Borse del Medio Oriente perdono terreno vistosamente, con le ultime, poco entusiasmanti trimestrali. Arabia Saudita, Dubai ed Egitto guidano la fase ribassista: si vede, insomma, come il vistoso calo del petrolio abbia impattato sugli utili societari.
Solo nelle Borse degli Emirati e Qatar si stima una fuga di capitali media 150 milioni di dollari Usa già dalla scorsa settimana, e tutto fa pensare che l’emorragia continuerà. C0sì mentre S&P taglia le prospettive dell’Egitto (da positivo a stabile), incorporando gli effetti negativi che l’abbattimento dell’aereo russo avrà sui flussi turistici, l’Arabia Saudita si trova a gestire le dimissioni dell’amministratore delegato della Borsa di Riad, poco dopo aver terminato il road show globale in vista dell’apertura dei suoi mercati azionari agli investitori esteri. A dimostrazione dell’estremo nervosismo che vige a “palazzo” dopo il monito di Moody’s per un possibile cambiamento del rating e del Fondo monetario internazionale sui conti pubblici. A Riad, il crollo dei prezzi del petrolio, infatti, ha portato il deficit/PIL al 20%, innescando anche un’erosione delle riserve valutarie negli ultimi sette mesi, che potrebbero portare di questo passo il loro esaurimento in meno di 5 anni.
Chi beneficia di questa situazione? L’ISIS, il Califfato o Daesh, insomma lo Stato-che-non-c’è-ma-governa. Quel Califfato che in meno di tre anni è arrivato ad occupare una vasta area di territorio tra Siria e Iraq, che governa su 10 milioni di civili, e che ha messo immediatamente sotto controllo le riserve petrolifere e le relative attività di raffinazione. Reclutando specialisti del settore energetico dai paesi europei, il Califfato gestisce una produzione di circa 40mila barili al giorno per un’entrata giornaliera di circa 1,5 milioni di dollari Usa rivenienti dalla vendita sul territorio controllato o dal commercio con i mercanti turchi compiacenti.
L’economia del Califfo. Le pompe di benzina forniscono carburante per auto e camion; ospedali e attività produttive sono alimentate da generatori nelle zone prive di elettricità: e non c’è niente di più remunerativo per le finanze di uno Stato-che-non-c’è-ma-governa approvvigionare una zona di guerra dove l’energia scarseggia e puoi vendere petrolio e derivati dai 20 ai 45 dollari. I documenti rinvenuti dopo la scomparsa del Abu Sayaf, il presunto “ministro del petrolio” del Califfato ucciso a maggio nel nord-est siriano, confermano l’esistenza di un’organizzazione capillare, efficiente, fornita di mezzi e di armi (anche occidentali).
Stamattina i mercati finanziari riaprono i battenti dopo gli attentati di Parigi. Dato che petrolio e oro hanno toccato nuovi minimi, potrebbe esserci una reazione se dovesse prevalere l’avversione al rischio: ovvero un rimbalzo che farà piacere agli investitori più speculativi. Sul tavolo del G20 ospitato dalla Turchia potrebbe delinearsi una soluzione per la Siria, anche se al momento di certo c’è solo che l’impegno a combattere (o a smettere di strizzare l’occhio) all’ISIS e il supporto per i profughi siriani probabilmente frutterà ad Ankara 3 miliardi di euro in aiuti. La giornata sarà cruciale anche per verificare la tenuta delle banche centrali post G20: i mercati sono interessati a cogliere eventuali premesse per una divergenza delle politiche monetaria tra BCE e FED, soprattutto dopo i pessimi dati americani di venerdì scorso.
La dichiarazione dello stato di emergenza e il ripristino dei controlli alle frontiere avrà di sicuro un impatto negativo sul PIL europeo, con ripercussioni sul comparto turistico in particolare e più in generale sui settori ciclici. Inevitabilmente Medio Oriente ed Europa saranno di nuovo colpite da un elevata volatilità dei corsi azionari. Ma per molti ogni ribasso in Europa potrebbe occasione di acquisto su azioni e bond. Il rischio politico si tradurrà in un irripidimento delle curve dei rendimenti e un aumento del premio al rischio sui titoli governative dei paesi periferici, che tradotto per l’Italia vuol dire una correzione del prezzo dei Btp e quindi un aumento dei rendimenti.