Le previsioni pubblicate prima della fine del 2015 elencavano un lungo elenco di variabili rischiose per i mercati finanziari, senza peraltro indicare chiare strategie. Tenendo come punto fermo il rafforzamento del dollaro Usa, gli outlook di buona parte delle banche d’investimento lasciavano sperare un primo trimestre di tregua. Invece il crash test cinese di questi giorni ha colpito duramente e ripetutamente. Il peggiore scenario possibile in cui i tutti i cigni neri che si potevano evocare si sono concretamente presentati sui mercati azionari.
Abbiamo quindi avuto certezza 1) che la spirale deflazionistica innescata dal crollo dei prezzi energetici e delle commodities avesse creato un vortice nel quale sono caduti i mercati emergenti per primi e i bond ad alto rischio americani, 2) che le tensioni in Medio Oriente potrebbero creare i presupposti di una pesante correzione con implicazioni recessive anticipata rispetto al 2017-2018.
La svalutazione ulteriore dello yuan rembimbi di oggi (-0,5%) – seguita alla sospensione delle quotazioni secondo il meccanismo di salvaguardia recentemente introdotto (Circuit break), che a sua volta è stato oggi “sospeso” nella convinzione che abbia incrementato la volatilità – avvalora la tesi di un impatto significativo della crisi dei Paesi emergenti sull’interscambio commerciale cinese.
Il risultato è che si continuano a comprare dollari Usa rispetto alle altre divise e a rifugiarsi sui titoli governativi ad alto rating, certi che la fase di normalizzazione non sarà immediata e che le svalutazioni nelle quali incorreranno anche i Paesi del Medio Oriente aggraveranno il sentiment degli investitori internazionali. Anche rispetto a una diversificazione naturale sui mercati azionari occidentali.