La crisi politica aperta ad Ankara da Erdogan ha spinto la valuta di Ankara ai minimi. Scatenando il caos sul mercato valutario.
Il Congresso straordinario dell’Akp si terrà entro fine mese e pare che il primo ministro Davutoglu non correrà per diventare il nuovo leader. I rapporti tra il “Sultano” Erdogan e Davutoglu sono tesi proprio sul ruolo del potere esecutivo e sull’ennesimo colpo di mano che vede il primo ministro sulla difensiva e verso un voto di fiducia in una prossima convention di partito.
Lo scontro tra i due, unitamente all’escalation nel conflitto con i ribelli curdi e lo scotto pagato dall’ambiguo rapporto con Isis, ha messo sotto pressione l’economia turca, che vale 720 miliardi di dollari Usa, e la fiducia dei partner commerciali esteri. Ieri la frattura dopo una settimana di incontri di partito che dovevano definire la mappa dei referenti locali del partito e che pare abbia avuto esito nefasto, tagliando fuori Davutoglu dalla rosa finale dei nomi, approfittando proprio dell’assenza del premier in visita in Qatar. Il quale ha reagito duramente nei confronti dei parlamentari stessi.
Sul piatto le ricette di politica economica che non vedono i due contendenti d’accordo e l’intrusione del presidente in un percorso più ortodosso, che il Governo stava seguendo sotto la guida di un primo ministro che, differentemente da Erdogan, è ligio a principi di trasparenza ed efficienza nella gestione della cosa pubblica.
Già nell’accordo con l’Ue Erdogan aveva ribadito che la vittoria era tutta sua, e aveva immediatamente ripreso la sua personale guerra con i media e gli oppositori in barba alle raccomandazioni europee ed alle riserve del primo ministro su queste decisioni impopolari e pericolose per la stabilità sociale del paese. Ma la credibilità della Turchia e dei suoi futuri progressi è legata proprio a Davutoglu, che sin dai suoi esordi come ministro degli Esteri ha guadagnato rispetto internazionale e si è impegnato nel dialogo religioso interno, cercando di minare la crescente follia misogina e autoritaria di Erdogan.
Stiamo passando dalle guerre valutarie al caos valutario, tra un dollaro Usa condizionato dalla mina vagante del candidato Trump, i tentennamenti opportunistici della Fed, e una nuova minaccia in Turchia che peserebbe inevitabilmente sul dialogo Ue e sulla stabilizzazione della questione migranti, e che in questo momento sta facendo gioco al petrolio. Vittima della situazione, questa volta, la Germania, che dopo aver pure cambiato i “programmi teatrali” a Berlino censurando Mozart per compiacere i turchi, pagherà amaramente l’assenza totale di rispetto delle regole civili alla base dei trattati comunitari bellamente ignorate da un partner ormai scomodo.