Le elezioni americane ed europee sono state protagoniste degli incontri istituzionali nel meeting autunnale del Fondo Monetario Internazionale. Al centro degli incontri gli obiettivi di sostenibilità economica e il dibattito sulla necessità di riformare il modello economico in crisi dagli strascichi di una crisi globale che ha visto i Governi abbandonare quel fervore riformista e costruttivo che aveva portato il mercato a recuperare i livelli pre-crisi del 2008 proprio un anno fa.
In un anno sono intervenute tante di quelle variabili politico-economiche che hanno spazzato certezze e speranze di una ripresa vigorosa. L’ultimo dibattito tra i candidati alle presidenziali americane è lo specchio di una mancanza di focus che vede anche la superpotenza a stelle e strisce incapace di fare i conti con problemi sociali crescenti, e che non ha saputo dare risposte certe a molte delle incognite di politica estera, deliberatamente lasciate incompiute o addirittura ignorate come per la tragedia siriana.
Certo erano più urgenti le questioni nazionali ma evidentemente tra debito pubblico e sicurezza nazionale non sono stati fatti molti passi avanti. Un’aria simile di sconcerto si respira in Europa dove anche qui i prossimi appuntamenti elettorali mettono a dura prova un tentativo di ricompattare l’UE e approfittare del “Brexodus” in corso dall’isola britannica dove il disordinato dibattito politico sull’uscita dall’UE ha affossato definitivamente la sterlina inglese.
Questa situazione, che accomuna le due sponde dell’Oceano, va prima di tutto a favore di parte dei mercati asiatici e della Cina che – via svalutazione opportunistica e con l’entrata dello yuan rembimbi nel paniere di valute FMI – dallo scorso 1° ottobre accelera sul recupero dei dati macro e delle misure di contenimento delle bolle speculative interne.
Ma anche il resto dei mercati emergenti, partendo dai Paesi del Latino America, stretti nella nuova Pacific Alliance, insieme alla Russia trainata dal recupero del rublo avranno l’opportunità di fare la loro parte ritagliandosi uno spazio nella diversificazione dei portafogli che vedono imminente una correzione del mercato azionario Usa e cercano alternative ad alto rendimento in attesa che le banche centrali riescano a superare il pantano di un panorama a tassi zero che ormai si è prolungato oltremodo inficiando l’efficacia delle misure di quantitative easing.
Così i governativi che restano allettanti sulle parti lunghe ed extra lunghe di curve estremamente volatili sono sostituiti dalle obbligazioni ad alto rendimento sia europee che emergenti, e anche in valuta locale con qualche eccezione.
Tra gli allievi modello del FMI resta il Sudafrica elogiato più volte per le misure fiscali intraprese e perla capacità del Governo di aver stabilizzato valuta e inflazione, certo che sarà cruciale il mantenimento del merito creditizio per confermare una ripresa degli investimenti sulla divisa.
Mentre sulla lira turca l’attesa per ulteriori tagli dei tassi non aiuta un recupero della divisa in uno scenario politico compromesso nonostante i rapporti con la Russia siano stati recuperati da Erdogan recentemente.
La settimana dopo l’FMI si è aperta con le ipotesi di allentamento creditizio della BCE smentite e rialimentate più volte e sui recuperi del greggio, mentre il quadro delle commodities rimanda il recupero al prossimo anno zavorrato dal crollo delle quotazioni dell’oro e alla prova di un rialzo dei tassi Usa spostato a dicembre.
In attesa dell’esito finale che vedrà la vittoria della Clinton ormai data per certa, gli investitori sono molto preoccupati per un rafforzamento del braccio di ferro contro Russia e Cina che non farebbe altro che avvantaggiare questi Paesi a danno di una ripresa globale che unisca gli sforzi fatti anche da quei Paesi emergenti che già vedono nello spostamento valutario delle corporates americane un pericoloso monito per un ulteriore rafforzamento del dollaro Usa che rallenterà i flussi diretti verso le azioni dei Paesi emergenti.