La flessione del 10% messa a segno dal prezzo del petrolio nella seconda settimana di marzo ha colto di sorpresa molti operatori finanziari sbilanciati sul settore energetico e sulle aspettative di un ulteriore apprezzamento del greggio nel primo semestre di quest’anno. Queste oscillazioni hanno riaperto il dibattito sull’effettivo target deciso dall’Opec per una stabilizzazione del barile di petrolio nell’area compresa tra i 50 e i 60 dollari.
Il supporto ritrovato pochi giorni dopo la correzione è stato aiutato dal calo delle esportazioni della Libia dovuto alla chiusura di molti impianti di estrazione nelle zone dove la guerra civile si è intensificata. Mentre le notizie che giungono dall’Agenzia americana per l’Energia confermano per lo shale oil un ritorno ai livelli produttivi dello scorso anno, con un aumento cospicuo delle scorte. La situazione resta tesa perchè gli Stati Uniti accusano i sauditi di aver rallentato il piano dei tagli prestabilito mentre i quest’ultimi hanno immediatamente confermato che nel mese di febbraio il rimbalzo sulla produzione è stato causato da un aggiustamento fisiologico delle scorte, confermando l’impegno per una stabilizzazione dei prezzi di mercato.
Questo movimento dei prezzi petroliferi è avvenuto nel momento in cui tutti gli analisti stappavano le bottiglie per l’avvio di una sostenuta crescita economica a livello mondiale che sembrava poter scacciare definitivamente lo spauracchio di una deflazione persistente o peggio di una stagnazione economica secolare. Il contratto è così tornato in contango, con la curva dei contratti futures che ha ripreso un assetto normale (i prezzi futuri sono superiori a quelli attuali), annullando così gli effetti di una fase legata alle paure del permanere di una crescita economica globale ancora debole.
Tecnicamente sin dalla fine di febbraio si erano accumulate delle posizioni “lunghe” dei compratori portando così il livello dell’esposizione netta a livelli storici. Una situazione che naturalmente ha portato all’evidenza di un segnale di inversione subito colto dagli specialisti del settore e dagli algotrader.
Inevitabile quindi la corsa al riparo dal rischio di attacchi speculativi, con il Kuwait che si è affrettato a invocare ulteriori tagli dopo giugno, una mossa necessaria anche per salvaguardare l’esito del lancio della sua prima emissione di Eurobond a 5 e 10 anni per 8 miliardi di dollari.
A seguire però proprio gli stessi sauditi hanno mostrato un certo nervosismo, condiviso dai russi della Rosneft (la compagnia petrolifera di proprietà del governo di Mosca) contro l’industria americana dello shale oil che, con nuovi picchi nell’attività di estrazione, rischia di annacquare qualsiasi sforzo ulteriore da parte dell’Opec nella stabilizzazione dei prezzi energetici.A rafforzare il concetto il Ministro per l’Energia Novak ha informato i mercati sulla volontà del Paese di proseguire sui tagli in linea con l’Opec ma che si ritiene inevitabile un assestamento sui supporti tecnici tra Marzo e Maggio per le attese di una conferma della posizione dei Paesi OPEC nel Meeting del 25 Maggio .
In questo turbinio di questioni diplomatiche e geopolitiche, che si intrecciano con il secondo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, le strategie di portafoglio continuano a mantenere alto il livello di consenso sul dollaro e sui listini azionari, senza disdegnare i mercati emergenti mentre le altre materie prime non accennano a risollevarsi.
Allo stato attuale è troppo presto per parlare di un trend ribassista per il prezzo del greggio ed anzi la scarsità della produzione di Libia e Nigeria, causata dai conflitti interni, e una possibile alleanza tra Russia e Messico spinge per un rimbalzo che potrebbe riportare le quotazioni dell’oro nero oltre la banda di oscillazione del prezzo del Wti tra 50 e 60 dollari nella seconda parte dell’anno.