Non s’era mai visto un G7 come quello che si è tenuto nel week end in Canada – Trump può piacere o no, ma la sua azione da outsider ha fatto saltare gli schemi rilevando interessi e connivenze spesso nascoste – Italia irrilevante e oggi sui mercati occhio all’auto e alle divise Nafta
Finalmente un G7 senza il solito comunicato scontato, fatto di buone intenzioni, e foto di gruppo con saluto di circostanza. Come nel finale di una delle migliori puntate di “The Apprentice”, il presidente Usa Donald Trump ha rotto ogni dettame protocollare scagliandosi contro il Premier canadese ospitante “Bellicapelli” Justin Trudeau. Il livello del dibattito, ben oltre la peggiore riunione di condominio, ha visto prima un tentativo del presidente francese Emmanuel Macron di sorpasso “a destra”, ove ormai risulta stanziale, con un proclama di difesa del “G6+” con toni minacciosi nei confronti di Trump e di un suo isolamento dal resto del Gruppo causato dal volersi incaponire con i dazi. Macron, forte del consenso sulla politica interna e nell’esigenza di un successo di politica estera, fa la voce grossa, nonostante sia nota la sua vicinanza “commerciale” all’Iran e le sue molteplici ambiguità nelle relazioni con il Qatar (malgrado l’embargo saudita).
Trudeau sorvola sui dazi che impone ai prodotti agricoli americani, mentre annuncia in conferenza stampa le contromisure contro i dazi Usa, scatenando la reazione di Trump che, mentre è in volo per Singapore in vista dell’incontro storico con Kim Jong Un, firma con due tweet una delle pagine più controverse della storia del G7, smentendo e rinnegando la firma del Comunicato congiunto e ribadendo che gli Usa non saranno mai la “Banca” di comodo del G7.
Ma riassumiamo: il meeting vede Trudeau provocare Trump con un avvio dei lavori senza “quarto d’ora accademico” e quindi senza Trump. Nel pieno della discussione Trump lancia un mantra condiviso da tutti per una piena e corretta liberalizzazione dei commerci e un piano di regole comune e condivise che permettano di superare barriere e battaglie sui dazi. Un tema sul quale improvvisamente si sviluppa il momento più alto di tutto l’incontro.
Quindi le ultime trattative per il comunicato parevano aver accontentato tutti, smorzato il “gallismo” di Macron grazie a una Merkel sempre più fondamentale per gli equilibri del G7 e forte di una pazienza e “gandhiana” in mezzo a tante “prime donne”. I timori per una guerra commerciale sembrano far perdere al G7 l’attenzione dovuta sugli altri grandi temi ma soprattutto sulla salute dell’economia globale, ed il campanello d’allarme sui mercati emergenti, oggetto di deflussi per oltre 12 miliardi di dollari usa nell’ultimo mese su azioni e obbligazioni.
Alla fine il comunicato, dove già Trump si era astenuto sull’impegno alla firma degli accordi di Parigi sul clima, contiene un paio di moniti: verso l’Iran sulla proliferazione di armi nucleari, verso la Nord Corea che è chiamata a smantellare le postazioni missilistiche e verso la Russia richiamata all’esigenza di cessare comportamenti destabilizzanti. Ma soprattutto, accogliendo l’invito di Trump, viene esplicitata la necessità di una riforma del WTO, l’organizzazione mondiale del Commercio, e viene reiterato come solo un commercio libero e rispettoso delle regole può diventare una chiave fondamentale per un innescare un meccanismo di crescita stabile e bilanciata.
La strategia poco diplomatica e molto “business oriented” di Trump, tesa a diminuire i surplus commerciali mondiali verso gli Usa, può piacere o meno ma sicuramente rompe gli schemi e fa emergere interessi e connivenze che solitamente vengono spolverate sotto il tappeto rassicurante del comunicato alla “volemose bene”. Così oggi sui mercati avremo ancora tensioni sul settore automotive e sulle divise Nafta: dollaro canadese e peso messicano. Sicuramente in questo scontro tra titani l‘Italia non riesce a ritagliarsi un ruolo in prima linea, ma non poteva essere diverso data la scarsa dimestichezza del neo Premier con i meeting internazionali.
Ed i mercati europei, dopo aver incassato riscatti per oltre 11 miliardi di dollari Usa su ETF e fondi azionari europei, sono trascinati da una perdita di consenso verso l’area alla quale l’Italia contribuisce per il suo, con l’allargamento dello spread. Così le luci del reality si spengono in Canada, le questioni sui migranti e la crescita esponenziale delle Big Tech svaniscono nel nulla e la Cina continuerà ad implementare le sue barriere tariffarie, limitare i diritti della proprietà intellettuale (marchi, brevetti che proteggono produzioni estere delocalizzate lì!) mentre gli europei invece di trovare un accordo con gli Usa preferiscono ciascuno coltivare le proprie ambiguità commerciali. Trudeau, you’re fired!