Di fronte alla guerra commerciale e soprattutto tecnologica che infuria nel mondo l’Europa non tocca palla e l’Italia è allo sbando: improduttivo lo scontro sull’accordo CETA che si allarga pericolosamente anche su JEFTA.
Il 17 luglio a Tokio finalmente l’Unione Europea firmerà l’accordo JEFTA, Japan Europe Free Trade Agreement, con il Giappone. Un accordo commerciale cruciale per l’Europa, non solo perché la più grande area di libero scambio del mondo coinvolgendo 600 milioni di persone ma soprattutto rappresentando un terzo del Pil globale.
La scelta di rendere questo accordo libero di qualsiasi clausola sugli investimenti segna certamente un importante passo avanti rispetto ad altre “partite europee” sospese come il CETA con il Canada ed il famigerato TTIP con gli Stati Uniti. Ma soprattutto il fatto che non vada approvato dai Parlamenti nazionali, in quanto stipulato direttamente da Bruxelles, vede nella ratifica del parlamento europeo il prossimo autunno, un’altra arena e di messa alla prova di un nuovo cammino europeo.
NON SOLO GUERRA COMMERCIALE MA SOPRATTUTTO TECNOLOGICA
La guerra commerciale in pieno svolgimento tra Cina e Stati Uniti d’America è chiaramente uno scontro tra titani ed è solo la facciata di un regolamento di conti ben più ampio (dalla partita geopolitica a quella dei Trattati come NATO, NAFTA e TTIP) e che quindi va al di là anche dei nuovi dazi che Trump si prepara ad incrementare e che hanno più volte alimentato dibattiti sugli effetti negativi di lungo termine per una politica protezionistica condotta con mezzi tradizionali che non tiene conto di una nuova fase di globalizzazione digitale 2.0.
L’Europa stretta fra due contendenti di livello risulta impreparata e smarrita sia dal punto di vista politico e non solo dal punto di vista commerciali interno ma anche estero, e fa difficoltà a gestire politica e pianificazione, posizionamento politico e strategia industriale commerciale.
Questo smarrimento europeo di fronte a situazioni che rappresentano il futuro dei Paesi UE come l’innovazione tecnologica è evidente. Uno dei pilastri veri e propri della guerra commerciale in corso non è solo quello sul settore automotive e agricolo ma soprattutto sul posizionamento tecnologico per la gestione delle infrastrutture che attraverso il 5G gestiranno con nuove velocità le connessioni tra “device”, lo sviluppo del fenomeno blockchain per le transazioni, e quindi le nuove strutture aziendali e domestiche. Dalla vita di tutti i giorni con la cosiddetta “internet of Things” (IoT) che entra nelle case di tutti sino alle auto senza pilota.
Così da un lato Trump cerca di arginare l’avanzata delle colonne cinesi Huawei e ZTE e i cinesi sbloccano le disponibilità del proprio fondo sovrano pari a 941 miliardi di dollari usa per sostenere il mercato domestico di fronte a necessarie svalutazioni o ad una fase più cruenta della guerra commerciale . Aziende statali cinesi da un lato quindi e società spalleggiate dal Governo Usa e dai dazi dall’altra, con uno sbilancio commerciale al centro del conflitto e delle strategie di attacco ora irrobustite dalle azioni sui mercati e già forti dell’azione di smobilizzo sui Treasuries da parte ciese , giapponese e russa sin dall’Aprile scorso.
L’EUROPA: L’INCONTRO NATO E LE SOLITE AMBIGUITÀ INCONCLUDENTI
I fondi di venture capital asiatici, come Vision Fund a guida giapponese con Softbank, non scherzano. E Daimler che si è subito inserito tra i pochi finanziatori europei lo ha compreso benissimo. Oltre 100 miliardi a disposizione di una sfida tecnologica su scala mondiale di fronte al quale la risposta cinese di Chinese Merchant Group e quella Usa Di Sequoia Capital non si son fatte attendere.
E gli europei? Ovviamente al traino dei due colossi. Tanto che il finanziere Bollorè, uno degli uomini più ricchi di Francia, ed a capo di un Gruppo che partendo dalle cartiere di famiglia ora abbraccia il settore energetico e soprattutto il settore logistica con l’acquisizione di porti strategici in Africa ed a siglato pochi giorni fa un accordo cruciale con Alibaba.
E la strategia europea langue, a parte fare accordi e cedere alle “sirene” cinesi e americane incapace di un proprio intervento massivo sull’innovazione tecnologica e la logistica, che evidentemente vuol dire migliorare l’efficienza, abbattere i costi dei trasporti e garantire la competitività dei commerci. Che seppur digitali necessitano stoccaggi diffusi e capillari per essere efficienti. Le buone intenzioni di Bruxelles con un piano ridicolo data la potenza di fuoco in termini di PIL rappresentato si sostanzia in meno di 20 miliardi di dollari Usa e già vede la produzione di batterie per la nuova sfida dell’auto elettrica vinta da cinesi e sudcoreani.
Insomma l’integrazione dei sistemi tecnologici di produzione non europea in tutti i settori del quotidiano ma anche di reti amministrative, ospedaliere, accademiche sono la realtà e quindi restringono il campo di manovra e lasciano pochi spazi di azione settoriale all’UE che necessariamente dovrà venire a patti in una guerra commerciale che la vede sempre e inevitabilmente al traino.
Inoltre come emerge dagli stralci del meeting NATO , dove è stato riconfermato il sostegno alla Turchia nonostante la deriva anti democratica di Erdogan e gli “eccessi” passati sotto traccia contro curdi ed armeni , i Paesi Baltici escono vincenti ottenendo un nuovo quartier generale il Multinational Division North .
Ma l’Unione Europea come si pone di fronte al conflitto mediorientale e all’alleato americano in vista dell’incontro di Helsinki con Putin? Direi in ordine sparso e ciascuno a trarre profitto dagli scambi commerciali con Iran e Qatar come nel caso di Macron , senza mai una condanna decisa contro Assad ne’ un posizionamento strategico sui tavoli sul post guerra siriana e ostaggio della Turchia sulla questione migranti.
E L’ITALIA ALLE CORDE
In tutta questa situazione l’Italia vive all’interno di un Governo già diviso, e apparentemente titubante di fronte agli adempimenti internazionali, uno scontro improduttivo sull’accordo CETA che si allarga pericolosamente anche su JEFTA ma con dichiarazioni e mosse politicamente inadeguate alla realtà europea. Che nel rifiuto verso l’accordo CETA con il Canada e JEFTA con il Giappone pare non aver compreso le dinamiche commerciale di questa nuova era del commercio internazionale che viaggia più su mega piattaforme digitali che sui camion e sta trasformando anche la gestione dei punti nevralgici di snodo ormai già conquistati da americani, cinesi e giapponesi .
CONCLUSIONI
Fermarsi alla superficie degli annunci sui dazi è sempre fuorviante perché il fronteggiarsi di due ideologie, che si trasformano in tattica globale di politica estera e industriale ,“Make America Great Again “ per gli Usa con la cinese “ Belt and Road” (oramai estesa anche all’area latinoamericana) non vede rivali e le tattiche dai due lati dell’Oceano spadroneggiano ,se non qualche pallido imitatore come la Vision 2030 saudita, raccogliendo benevolmente l’interesse di gruppi europei ben intenzionati ad accordi opportunistici e soprattutto fuori da un quadro strategico europeo con qualsivoglia ambizione di valore continentale.
Di fatto il tassello europeo risulta mancante in questo puzzle di globalizzazione digitale dove è evidente che la firma del JEFTA resta cruciale per l’UE per non perdere definitivamente l’aggancio al traino della svolta digitale . Tenendo conto delle complicazioni inevitabili della Brexit, e la precaria situazione del sistema bancario tedesco condizionato da un’esposizione ai derivati che son al centro proprio della partita finanziaria della City londinese con le banche europee, tutta l’attenzione oltre che agli esiti del conflitto commerciale in corso saranno per i progressi del bilancio UE post 2020 e l’avvio dei fondi di stabilizzazione e di convergenza per 55 miliardi di euro, per i quali bisognerebbe dire: meglio tardi che mai.