Dalla deregolamentazione voluta da Trump al legame tra startup e cryptovalute. Claudia Segre spiega cosa c’è dietro il crac della Silicon Valley Bank e quali sono i rischia per l’Italia e l’Europa.
A causa della deregolamentazione voluta da Trump a partire da maggio 2018, l’attività e la gestione contabile della Silicon Valley Bank si è mossa “al limite della legalità, e soprattutto della logica”. E se tutto il business delle start up e del mondo crypto è stato il motore della loro crescita, allo stesso tempo è stato, in parte, anche il motore di questo crac: “È un mix micidiale tra il non aver vigilato le regole al confine con un mercato senza regole”.
È quanto racconta a Fanpage.it Claudia Segre, presidente e fondatrice di Global Thinking Foundation, secondo cui al momento non vi è nessun motivo per parlare di “contagio europeo perché il sistema dei controlli e dell’impianto di normative che sono state messe in piedi da noi è molto solito”. L’unico punto interrogativo riguarda il mercato delle cryptovalute, visto il legame con molte delle aziende clienti della banca, è largamente connesso al crac della Silicon Valley Bank.
“Quella a cui abbiamo assistito finora in Europa è solo un’ondata speculativa – spiega Segre – l’unica cosa da fare ora è capire il mercato dei prestiti in cryptovalute, quanto è effettivamente esteso e diffuso e così comprendere se ci possono essere dei piccoli focolai di crisi al di fuori del mercato americano, ma non è facile dare una risposta perché quello delle crypto un mercato non normato”.
Crac della Silicon Valley Bank, tonfo delle Borse europee: cosa sta succedendo?
Per quanto concerne l’Europa, la situazione delle borse a cui abbiamo assistito in questi giorni non è altro che un’ondata speculativa di quello che sta succedendo negli Stati Uniti. I due continenti si sono mossi nei confronti della regolazione bancaria in maniera molto differente: negli Stati uniti abbiamo avuto una deregolamentazione, ovvero una diminuzione dei controlli da maggio 2018, cioè da quando Trump ha avviato questo processo di semplificazione, mentre in Europa e in altre parti del mondo si è deciso di proseguire con l’applicazione di norme stringenti come reazione alle crisi che ci sono state dal 2008 in avanti.
Su questa base, quindi sulla possibilità di subire meno controlli, l’attività e la gestione contabile della Silicon Valley Bank sono state piuttosto al limite della legalità, e soprattutto della logica. Nel senso che loro hanno accumulato in maniera molto rapida, perché hanno avuto un boom di depositi negli ultimi tre anni grazie a tutto il business delle start up e del mondo crypto. Questi depositi sono stati investiti in parte in titoli di stato americani, in parte in titoli garantiti da ipoteche, ma comunque tutti legati a prodotti obbligazionari che hanno subito delle grosse correzioni nei prezzi col rialzo dei tassi.
E questo nel concreto cosa significa?
Che nel momento in cui, nella gestione dei bilanci della banca, invece di mettere i prezzi aggiornati di quei titoli, hanno mantenuto i prezzi storici, hanno creato una sorta di illusione che i conti stessero in piedi. E questa gestione contabile errata è coincisa anche con tempi sbagliati: normalmente se hai delle perdite fai un aumento di capitale, ma ormai le voci che la banca fosse in difficoltà si erano propagate, e questo ha portato a un prelievo ingente di fondi da parte dei clienti. Da qui è nato tutto il problema.
Pensi che lo stesso amministratore delegato della banca due settimane prima ha venduto le proprio azioni della Silicon Valley: questo ci fa capire che c’è stata una gestione truffaldina dei bilanci della banca, insomma è un po’ una storia che si ripete. In un sistema bancario americano molto meno normato di quello europeo c’è stata una gestione, se posso utilizzare questo termine, allegra, delle finanze di questa banca.
Ovviamente ci sono degli elementi che hanno contribuito a far sì che questo incendio crescesse, ovvero il fatto che il grosso dei clienti non fossero famiglie ma le startup, o i venture capitalist; parliamo un mercato legato alla tecnologia che ha subito nell’ultimo anno una correzione e una necessità di liquidità. Dall’altra parte alcuni di questi clienti corporate, sono legati al mondo delle cryptovalute, quindi anche qui a un mondo non regolamento. È un mix micidiale dato da il non aver vigilato sul rispetto delle regole al confine con un mercato senza regole.
C’è il rischio che si possa inasprire ulteriormente la situazione?
In questo momento le misure che sono state intraprese dal sistema americano sembrano funzionare, l’ente governativo si è preso carico, per almeno due mesi, dei dipendenti, ha creato la nuova banca per attivare la gestione dei pagamenti e dei prelievi. Si tratta di misure messe in campo in maniera tempestiva e fanno ben sperare che si eviti la propagazione del danno, anche perché la maggior parte sono startup che avevano il 10-15% della propria liquidità in questa banca, e gli sono state garantite delle linee di credito.
C’è un’ipotesi di contagio in Europa?
Abbiamo vissuto queste giornate di speculazione perché come spesso accade quando c’è un fuoco in America, sono tutti lì pronti a mettere al ribasso, ma non c’è nessun appiglio per dire che c’è un contagio europeo perché il sistema dei controlli e dell’impianto di normative che sono state messe in piedi è molto solido.
L’unico punto interrogativo riguarda il legame con il mondo delle cryptovalute di alcuni clienti di questa banca: siccome alcune cryptovalute sono state chiuse, bisogna capire il mercato dei prestiti in crypto quanto è effettivamente esteso e diffuso per capire se ci possono essere dei piccoli focolai di crisi al di fuori del mercato americano. Non è facile dare una risposta perché, essendo quello delle crypto un mercato non normato, è difficile quantificare i prestiti e quanti di questi sono a rischio.
C’è un elemento che però a mio avvisa merita una riflessione, ed è quello del rating. Il merito redditizio di questa banca era una tripla A, quindi il massimo dell’affidabilità. Questo significa che gli imprenditori che andavano a depositare lì la liquidità erano tranquilli perché c’era un bollino di garanzia rispetto al fatto che la banca fosse solida, ma se tocchi i bilanci quel rating non ha più significato. Quindi c’è stato un sistema di sottovalutazione in questo senso negli Stati Uniti, e questo ci dice ancora una volta che questo sistema di vigilanza mancante può essere dannoso.