In un’Europa rinfrancata dai risultati delle elezioni in Austria la variabile “Italia” è stata affrontata dai mercati finanziari con un giudizio sospeso sul rischio bancario ma senza “prezzare” il rischio politico mitigato dall’inazione delle case di rating e dalla necessità di fare fronte unico verso le derive europee in versione anti-Brexit.
Certo il quantitative easing della BCE resta un ottimo viatico per contenere un allargamento dello spread italiano verso i Bund tedeschi oltre i 200 punti base, ma la politica che conta e che attrae l’attenzione degli investitori è quella che vedrà – con le elezioni francese e tedesche – messo alla prova il vero asse portante dell’impianto europeo, quello franco-tedesco.
La leader dell’estrema destra Marie Le Pen scalpita forte di un 27% conquistato nelle ultime tornate regionali del 2015, raddoppiando i risultati del 2004, e non si guarda indietro neanche quando decide il definitivo allontanamento del padre dal Fronte Nazionale (FN).
Il 23 aprile ci saranno le elezioni e con Hollande fuori dai giochi, il candidato forte delle primarie del centrodestra, Francois Fillon, marcia spavaldamente in testa ai sondaggi rispetto alla Le Pen e anche rispetto al candidato socialista Manuel Valls.
Ma in una partita che sembra già vinta c’è un candidato sorprendente che infiamma i cuori degli elettori francesi che come gli altri elettori “globali” cerca alternative fuori dal solco dei vecchi establishment di partito, il giovane ex Ministro dell’Economia Emmanuel Macron.
Con il suo movimento neonato centrista “En Marche” cerca di raccogliere i delusi della sinistra con più convinzione di quanto possano fare gli altri candidati socialisti ma anche raccogliendo molte critiche per un curriculum impeccabile da “beau gosse” dell’ENA, la più prestigiosa scuola della Pubblica Amministrazione al mondo ed ex dirigente dalla carriera fulminante della Banca Rothschild.
Ancora una volta in mezzo a tanti candidati uomini , e come nelle elezioni americane, c’è una donna che cerca di lasciare una traccia nella storia politica del suo Paese ma forse non è la donna giusta, perché l’elettorato non ama le donne che incarnano l’estremismo o forse perché la battaglia sui temi dell’immigrazione e dell’insicurezza economica, vedono i due leader di destra, Le Pen e Fillon, scontrarsi in una fase di tensioni sociali molto delicata per un rilancio vero del processo di una nuova globalizzazione 2.0. La Le Pen, certo, strizza l’occhio all’elettorato deluso dei socialisti facendo sue le battaglie sul salario minimo e sulla stigmatizzazione delle multinazionali, ma non gli basterà.
L’economia francese ha disperatamente bisogno di un governo forte e stabile per rilanciare con nuove riforme la crescita economica e ridare slancio all’occupazione. Il governo di Hollande ha potuto fare poco anche per quanto riguarda il contenimento del deficit e l’ingente debito pubblico, per non parlare della discussa riforma sul lavoro che ha definitivamente spaccato il fronte della sinistra, oltre quello elettorale.
Poi vi è anche la questione separatista che vede la Le Pen schierata per un referendum “all’inglese” e quindi in un’idea di uscita dall’UE, mentre Fillon è rigidamente posizionato su una politica populista ma non di rottura con l’Europa.
Con un verdetto della Corte Suprema inglese imminente e il richiamo all’art.50 in marzo promesso dal Primo Ministro britannico May, che aprirà un tavolo di trattative che gli inglesi auspicano favorevole ad un’uscita che minimizzi i danni collaterali soprattutto per i servizi finanziari di Wall Street, ecco che la Main Street europea è chiamata a un voto come quello francese che sarà cruciale per la tenuta dell’UE, e quindi terrà occupati i mercati con maggiori preoccupazioni di quanto la politica italiana abbia potuto fare sino ad oggi.