Il Qatar e il rischio di una nuova Guerra del Golfo: cosa c’è dietro

Giugno

26

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Le ragioni politiche ed economiche che stanno dietro il braccio di ferro tra Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e il Qatar – La contesa del gasdotto ideato da Qatar, Turchia ed Iran – Gli effetti finanziari dell’isolamento del Qatar – Solo 10 giorni per verificare se la diplomazia Usa può evitare la guerra.
Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, con la mediazione del Kuwait, hanno posto 13 condizioni al piccolo e disallineato Stato del Qatar, rivolte a limitarne un potere ideologico diffuso non solo grazie ai media con l’incriminata rete televisiva Al Jazeera, ma soprattutto per il sostegno finanziario e logistico offerto ai Fratelli Musulmani e ad altri gruppi terroristici come Hezbollah in Libano e Hamas.

Il Qatar va incontro a un duro embargo e quindi a un isolamento nel quale le alleanze tanto contestate con la teocrazia iraniana e la Turchia del “Sultano” Erdogan potranno far poco, aldilà di appellarsi, (per la serie “da che pulpito”), al diritto internazionale. Le monarchie del Golfo e l’Egitto non tollerano la diffusione dei Fratelli Musulmani, che cercano d’imporre al mondo sunnita un’unione indissolubile tra potere politico e religioso attraverso la Sharia, considerando quindi come eretici tutti i Governi esistenti.

La messa al bando di questo pericoloso movimento per la sopravvivenza della laicità del mondo politico sunnita è divenuta vitale soprattutto dopo la deriva della Turchia assoggettata ai Fratelli Musulmani. Una battaglia della quale in Occidente molti Paesi ancora fanno fatica a capirne fondamento ed importanza, soprattutto per il rischio evidente di un nuovo conflitto nel Golfo, con un’inevitabile effetto contagio in un’Europa dove le comunità efficienti ed organizzate che si legano a questo movimento estremista spadroneggiano in diversi quartieri da Parigi a Londra.

Ovviamente dietro questo braccio di ferro ci sono anche e soprattutto forti interessi economici, perché il Qatar con la Turchia e l’Iran è interessato a costruire un importante gasdotto che, attraversando proprio il territorio turco, giunga sino in Europa. Il punto di partenza sarebbe situato proprio nel giacimento offshore di gas naturale che viene condiviso dal Qatar con gli iraniani, chiamato South Pars per la parte iraniana/North Dome in Qatar. In alternativa il gasdotto potrebbe passare da Iraq e Siria. C’era già stato un tentativo tra il 2000 ed il 2010 per un progetto simile ma fu proprio Assad a bloccarlo perché ledeva gli interessi verso l’Europa della Russia. E la stessa Arabia Saudita si era allineata al diniego, per evitare che l’Iran potesse beneficiare dei proventi di un progetto così remunerativo.

Questi tentavi, culminati proprio nel 2010 prima della guerra siriana, spiegano i motivi di un conflitto che, lungi dall’essere legato soltanto agli strali di una guerra civile, è dovuto principalmente alla guerra dei gasdotti e al rifiuto di Assad di far attraversare il suo territorio da qualsivoglia gasdotto che favorisse un Paese sunnita come il Qatar, per quanto legato a un alleanza di comodo, anche in questo caso, con gli iraniani. Il Qatar a sua volta, producendo sempre meno petrolio, aveva ed ha tuttora estremo bisogno di realizzare il gasdotto, esattamente come la Turchia, che paga un’ingente bolletta petrolifera nonostante il calo dei prezzi indotto dai sauditi per bilanciare la crescita dell’industria dello shale oil americano.

Nelle ultime due settimane abbiamo assistito alla correzione del rating del Qatar ed ad un’accelerazione dei problemi valutari legati al fatto che la divisa del Paese ha un peg e che il mercato valutario del Paese è limitato ed illiquido. C’è stata una corsa ai depositi in dollari Usa dopo la pubblicazione delle 13 condizioni e la divisa locale ha già perso il 4% in attesa che con la fine del Ramadan la situazione peggiori. Effetti negativi anche sul mercato dei Sukuk, con una perdita di valore nei prezzi e dubbi sul valore effettivo delle garanzie reali sottostanti se dovesse proseguire o, come sembra, peggiorare l’embargo. Il pericolo di un deflusso di capitali e patrimoni ingenti è reale e non facile da affrontare da parte dalla monarchia costituzionale dell’emiro Al Thani.

La posta in gioco è molto elevata, mentre gli aerei delle forze in campo, soprattutto americani e russi, si sfiorano ed il rischio di un incidente, che accenda la miccia su questa polveriera di interessi incrociati tra geopolitica e business dell’energia, è molto elevato.

I mercati per ora non prezzano questo rischio ed il petrolio resta nello stretto range tra 42 e 48 dollari Usa del Brent in attesa di capire cosa succederà tra 10 giorni e se la diplomazia condotta da Tillerson produrrà qualche effetto, visto che gli stessi americani in questo momento non son più interessati come un tempo a sponsorizzare un progetto di un gasdotto che, comunque sia, sarebbe certamente contrario agli interessi nazionali della nuova Amministrazione Trump, già di per sé soddisfatta del mega accordo sugli armamenti stipulato “giusto in tempo” con l’Arabia Saudita.

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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