L’industria petrolifera è in grande fermento dopo la decisione del Venezuela di pubblicare i prezzi in yuan rembimbi, in un gesto riconoscente verso i partner cinesi che permettono a Maduro di resistere al potere nonostante la grave situazione economica del Paese e che strizza l’occhio a sauditi ai quali i cinesi analoghi pagamenti nella loro divisa locale.
L’attacco al dollaro Usa come ritorsione alle sanzioni contro il Governo Maduro si estende quindi al settore petrolifero, da sempre dominio incontrastato del “re dollaro”, e non è escluso che altri Paesi come l’Arabia Saudita non ne seguano l’esempio. Infatti il crollo delle quotazioni ha inciso pesantemente sulle finanze saudite e la concorrenza dello shale oil statunitense ancora brucia, tanto da costringere i sauditi a ricorrere ad un progetto gigantesco di ampliamento dell’accoglienza alla Mecca per rimpinguare le casse dello Stato con le entrate dai flussi turistici, legati al pellegrinaggio.
Negli Usa l’industria petrolifera però non sta vivendo un momento florido ed anche il dato sui pozzi trivellati per estrarre lo shale oil e’ in discesa a metà Settembre con un calo simile a quello del Gennaio scorso. Il nuovo paradigma di prezzi a ridosso dei 50 dollari usa del West Texas necessariamente ha costretti ad una revisione dei budget dedicate a nuove esplorazioni perlomeno sino a tutto il primo semestre 2018. La crisi nordcoreana si evolve coinvolgendo sempre più strettamente i rapporti con la Cina e la missione del Segretario di Stato Tillerson, ex CEO di Exxon, era mirata alla riduzione delle esportazioni di petrolio dalla Cina verso il Nord Corea per mettere pressione al regime di Kim Jong Un ridimensionando le mire belliche che hanno caratterizzato questa fase di volatilità sui mercati americani ed asiatici.
I cinesi insistono per un atteggiamento conciliante degli americani e per un vero tavolo diplomatico che dia al dittatore nordcoreano quella ribalta tanto agognata ma che al contempo lo riporti alla ragione sui piani di sviluppo delle armi nucleari, dove Cina e Pakistan hanno giocato un ruolo quanto mai ambiguo di partnership.
Intanto lo S&P si scrolla di dosso le tensioni geopolitiche portandosi alla ragguardevole quota di 2500 per la prima volta da inizio anno, capitalizzando un guadagno del 12%, il migliore degli ultimi 4 anni. Nonostante i recenti uragani le prospettive per gli utili delle corporates americane per gli analisti rimangono legati a prospettive positive sino al 2019, ed i titoli energetici son certamente tra quelli più performanti insieme ai titoli legati alla tecnologia e al medicale.
Così Trump entra al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite in un momento di grandi tensioni interne al Paese dovute non solo agli scontri sociali ed alle critiche verso l’Amministrazione ma anche per le pressioni delle più grandi compagnie petrolifere per una modifica dell’atteggiamento nei confronti degli accordi di Parigi sul clima .
Infatti le compagnie petrolifere son preoccupate dall’atteggiamento degli investitori che sempre di più son interessati alla sensibilità delle corporates del petrolio verso politiche di ESG, (Etica, sostenibilità e Governance), inclini a favorire un raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica ai quali oltre 200 Paesi hanno aderito con gli accordi sul clima di Parigi.Dai manager e gestori di fondi multi miliardari sino agli investitori retail regna un diffuso senso comune di sostegno alle misure di sostenibilità economica e di salvaguardia del pianeta che si riflette anche in un orientamento degli investimenti cosidetti “SRI”, o etici e di responsabilità sociale, crescente.Da questo punto di vista i cinesi hanno cavalcato l’accordo sul clima ed il tema delle rinnovabili diventando subiti paladini e leader mondiale negli investimenti nel settore delle energie rinnovabili.
In parole povere un atteggiamento più conciliante dell’Amministrazione USA verso questi temi aiuterebbe le corporates del settore energetico a stare al passo con i competitor mondiali espressione di Paesi decisamente più impegnati e coerenti nella loro posizione su questi temi.
Non c’e’ un solo Amministratore Delegato di una società energetica americana che non guardi con apprensione a questo braccio di ferro tra Trump e Macron perché indipendentemente dagli interessi personali per stare sul mercato e partecipare ai tavoli internazionali ,e quindi concludere affari a sette zeri ,occorre evitare un caos sulle politiche energetiche del Paese che vada a minare reputazione e attendibilità dei partner USA verso il resto del mondo . E soprattutto in un momento di impasse per l’industria dello shale oil Usa nessuno può permettersi di farsi illusioni su quello che il Governo USA può fare per soddisfare le lobby petrolifere , sempre che il quadro mediorientale regga nel nuovo paradigma che vede l’ISIS in ritirata da un lato e Iran e Iraq tentare di accaparrarsi territorio e forniture energetiche dall’altro .Insomma l’altra faccia della medaglia per le politiche sul clima…