Per la prima volta anche nel nostro Paese si terrà a ottobre il Mese dell’educazione finanziaria con una serie di attività e di eventi in cui la Global Thinking Foundation, che ha aperto sedi anche a Parigi e a New York, sarà protagonista con le sue iniziative di formazione per le donne e le famiglie volte a colmare il gap di conoscenze economiche che colpisce impietosamente l’Italia.
opo questi primi due anni di attività della Global Thinking Foundation è venuta l’ora di fare un bilancio, al di là dei contributi a sostegno delle Borse di Studio e dei percorsi scolastici universitari che hanno visto la Fondazione attiva su più fronti, con l’obiettivo di sostenere la qualità dell’educazione per ragazze e ragazzi non abbienti e meritevoli, facendo così suo uno dei principali obiettivi dell’Agenda 2030 sulla sostenibilità economica. Un’attenta riflessione sull’esperienza di oltre 15 anni degli Usa e degli altri Paesi anglosassoni, dall’Inghilterra al Canada e all’Australia, vede la percentuale di adulti con un’educazione basica in materia finanziaria a ridosso del 60%, mentre l’Italia scivola agli ultimi posti, ben al di sotto del 40%, in linea con alcuni Paesi emergenti, secondo la ricerca S&P Global Finlit. Ed è proprio l’istituzione per legge di una strategia nazionale di educazione finanziaria che ha fatto del Mese dell’Educazione Finanziaria del prossimo ottobre (che negli Usa è in aprile e in Canada e in Inghilterra in novembre) un’opportunità unica per tracciare azioni e programmi di lungo termine che all’Italia mancano completamente.
Per questo motivo l’apertura di un ufficio della Global Thinking Foundation a Parigi, dopo che nel 2017 la Francia si è affiancata ai Paesi anglosassoni, e la sede a New York impegnata su progetti digitali per le università e per le donne in quiescenza e senza copertura assicurativa, segue una fattiva dedizione ed esperienza accumulata sui tavoli degli Annual Meetings del Fondo Monetario Internazionale e come Membro Affiliato dell’Infe, l’International Network on Financial Education dell’Ocse.
Dal confronto con le evidenze internazionali e traendo spunto dagli studi di finanza comportamentale del Premio Nobel Thaler emerge che colmare la carenza di competenze finanziaria ed economiche è un’occasione che le autorità pubbliche dovrebbero sfruttare per orientare le scelte (non per limitarle irrigidendo le normative), ampliando la partecipazione consapevole all’uso del denaro e la cooperazione con le CSO (organizzazioni della società civile), come avviene in tutti i Paesi G20. Solo il connubio pubblico-privato può aiutare a superare il gap nazionale e la strenua difesa del piccolo risparmiatore a suon di normative può essere un boomerang per il risparmiatore stesso.
Ciò che sta alla base dello sviluppo della Global Thinking Foundation è l’impegno nella formazione delle donne e delle famiglie. I corsi si svolgono con l’ausilio di materiali cartacei e digitali, sviluppati raccogliendo gli esiti delle attività sul territorio e incontrando la cittadinanza. La volontà di portare in questa iniziativa il meglio delle esperienze internazionali mi ha reso consapevole della distanza abissale tra l’Italia e gli altri Paesi europei (ma non solo) sul modo di affrontare questo vuoto di competenze economiche di base. Grazie all’osservazione del legame tra questa carenza di conoscenze basilari in finanza e l’effetto domino sulle famiglie della recente crisi bancaria, ritengo che non si possa assistere disarmati all’emergere di diffuse situazioni di sovraindebitamento e di difficoltà nella gestione dei risparmi a fronte di scenari complessi.
A 10 anni dal fallimento della Lehman Brothers è vero che il sistema bancario internazionale è più solido e protetto, ma la crisi globale ha lasciato strascichi sulle situazioni politiche ed economiche di molti Paesi, che ora vedono emergere nuovi nazionalismi e un impeto al protezionismo. Tutto questo distrae le autorità che vigilano sui mercati da fenomeni nuovi e difficili da contenere, come lo shadow banking. E nel frattempo si assiste allo spostamento delle attività di finanziamento e pagamento digitali verso nuovi attori non bancari (e non vigilati).
Se poi aggiungiamo un pronunciato gender gap rispetto ad altri Paesi, cioè una forte disparità tra uomini e donne, e il relativo costo sociale non ammortizzato da corrette politiche di aiuto per le famiglie, il quadro è completo. Dai risultati Istat, più di un milione di famiglie è mantenuto da donne lavoratrici con un marito/compagno inattivo e queste situazioni ricadono sui figli e sul futuro del Paese. Questo tipo di situazione rappresenta una mancata opportunità di inclusione sociale ed economica delle donne e dipende non solo da un problema di retaggio culturale, ma anche da una difficoltà di accesso alle competenze economico-finanziarie, che non sono fruibili né a scuola né in maniera completa per gli adulti. Ciò comporta un triste esito, particolarmente allarmante in tempi di rivoluzione digitale e di carenza di competenze tecnico scientifiche diffuse nei lavoratori italiani. Il risultato è che anche nel differenziale di genere nell’accesso al lavoro l’Italia resta lontana dagli obiettivi prospettici della Convenzione di Istanbul. Con una partecipazione al lavoro delle donne che si ferma al di sotto del 50%, il nostro Paese rimane ben al di sotto anche della media europea del 60% (obiettivo fissato per il 2010).
Le statistiche sono scoraggianti anche per quanto riguarda il livello di istruzione generale: in Italia i laureati tra i 25 ed i 64 anni sono il 4% della popolazione, contro il 17% dell’area Ocse. Anche restringendo la fascia d’età tra i 25 e i 34 anni, il confronto è impietoso: 27% contro 44%. L’Ocse infatti sottolinea che il sistema scolastico italiano offre una sostanziale equità sociale nell’acceso agli studi universitari, ma di fatto la spesa italiana per l’istruzione rimane esigua, inferiore di quasi il 30% per studente rispetto alla media Ocse.
L’investimento sull’istruzione è tutto gestito e autofinanziato dalle famiglie: per questo credo fermamente che fornire competenze specialistiche aiuti anche nelle scelte future e nell’orientamento agli studi. È necessario saper guardare il mondo per com’è oggi, sapendo che le generazioni future meritano di poter contribuire allo sviluppo della società, realizzando a pieno il loro potenziale. È con questo obiettivo che lo Stato e i privati devono lavorare al fianco delle famiglie.