Il Qatar sostiene la Turchia con investimenti diretti che allontanano da Istanbul l’arrivo del Fondo Monetario Internazionale ma non risolvono la crisi, con effetti preoccupanti sull’intero scacchiere mediorientale e sulle banche europee anche se non c’è rischio sistemico.
Con il peggioramento della crisi turca, gli stress test per il sistema bancario europeo vedono palesarsi buona parte delle variabili che servono a simulare una crisi di contagio finanziario, che a dir il vero per ora sta colpendo principalmente le divise emergenti ma si inserisce in un nuovo scenario di rafforzamento del dollaro, che si è riportato nella fascia bassa di un range di oscillazione perdurante da tempo.
Gli ingredienti ci sono tutti: dal crollo della lira turca, che si è portata dietro al rand sudafricano e addirittura alla rupia indiana, all’impennata dei rendimenti del decennale governativo turco sopra il 20% (ma il 3 anni è vicino al 30%!), dopo una fuga dai titoli obbligazionari da parte di investitori sia esteri sia locali.
Il ricorso della Banca Centrale turca a un rapido allentamento monetario anche attraverso un ridimensionamento dei requisiti di capitale delle banche e la vendita di quantitativi ingenti di oro, ben superiore ai 3 miliardi di dollari, sta offrendo respiro alla divisa dopo uno scivolone oltre quota 7 sul dollaro. Con una perdita da inizio dell’anno di quasi metà del suo valore, non c’è solo la crisi della lira turca ma anche il raggiungimento di quota 500 da parte del Cds, il credit default swap, a rafforzare l’idea di una crisi di medio-lungo termine, lungi dal rientrare a breve.
Alcuni improvvidi analisti poco avvezzi alla finanza internazionale hanno in questi giorni commentato erroneamente l’esposizione delle banche europee. Occorre precisare che il totale posseduto da banche spagnole, francesi ed italiane è ingente e doppiamente colpito dalla perdita di valore di prezzo e del valore valutario allo stesso tempo, quindi perdite effettive ingenti. Infatti le strategie di copertura risultano parziali e comunque insufficienti rispetto alla magnitudo della correzione.
Il gruppo spagnolo BBVA controlla il 49,9% di Garanti Bank, Unicredit il 40% di Yap Kredi, mentre Bnp Paribas ha il 72% di TEB, Economy Bank of Turkey. HSBC e Ing operano con sedi operative esposte anche sul lato dei prestiti. Quindi nessuna traccia di finanza islamica, ma tipica finanza convenzionale, sulla quale gli analisti si son già scatenati nel rivedere i target di approdo delle capogruppo sui rispettivi listini a fronte dell’impatto di un peggioramento della crisi. Un totale di 150 miliardi di dollari tra Italia, Spagna e Francia via prestiti diretti non crea ad oggi un vero e proprio rischio sistemico, ma si aggiunge certamente alle preoccupazioni su una gestione efficiente dei debiti insoluti per le banche comunitarie, che si somma alla preoccupazione sulla questione derivati che inevitabilmente riemergerà a ridosso della Brexit, comunque vada.
La notizia che il Qatar ha assicurato alla Turchia investimenti diretti per 15 miliardi di dollari permetterebbe a Erdogan di non dover richiedere subito l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, rinunciando a una politica estera indipendente che d’ora in poi dovrà fare i conti con gli obiettivi strategici del Qatar, già messo in “in mora” dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti per uno sconsiderato apparentamento con Iran, Hezbollah, Hamas e altri gruppi terroristici. Il che potrebbe modificare l’atteggiamento accondiscendente della Russia che è il garante della partecipazione ai tavoli di spartizione del futuro della Siria proprio per la Turchia.
E se i toni tra Cina e Usa sembrano migliorati, l’Iran si infiamma sullo sfondo di un’alleanza tra Turchia e Qatar che non è una novità, ma si è riattivata dopo lo strano golpe del 2016, dal quale sono scaturiti arresti di migliaia di persone e il rapido annullamento dell’opposizione, della libertà dei media in vista di un referendum costituzionale che ha trovato piena attuazione nelle recenti elezioni che hanno visto la vittoria del Presidente Erdogan ottenere un’altra vittoria. Ora il Qatar restituisce il favore che la Turchia gli fece dall’inizio del boicottaggio da parte delle altre monarchie del Golfo, proprio mentre i turchi si trovano a subire le sanzioni Usa su acciaio e alluminio, a causa del respingimento della richiesta di liberazione del Pastore Brunson, incarcerato dopo il Golpe con altri stranieri accusati di connivenze con i golpisti.
Ma l’impegno del Qatar a comprare merci turche non aiuterà o eviterà un inasprimento della crisi, ed un balzo dell’inflazione, che già si è portata al 15%, a fronte di oltre 230 miliardi di dollari usa di esigenze di finanziamento del debito contratto solo per quest’anno. Squilibri interni ed esterni, dall’indebitamento delle corporate e delle banche al deficit delle partite correnti in uno scenario internazionale con tassi in rialzo e banche centrali troppo impegnate nella fase di normalizzazione e quindi di rientro dalla fase delle misure non convenzionali a sostegno dei mercati.
Nessuno può permettersi in questo momento una destabilizzazione della Turchia e d’altro canto non vi sono le condizioni politiche per un cambiamento, così gli analisti si focalizzano su un indebolimento della Turchia nel quadro mediorientale ma ciò non basterà che a creare una tregua perenne per un’economia in bilico che difficilmente potrà causare effetti isolati ma bensì guadagnare tempo per trovare una soluzione alla perdita di consenso degli investitori che non sembra arrestarsi, se non per gli amanti delle tempeste valutarie.