E’ l’invocazione lanciata da un ex membro della Banca centrale cinese. E mentre il retail si lecca le ferite dopo i crolli di borsa, emergono i limiti di un mercato poco trasparente e un governo impreparato.
Sulla propensione al gioco dei cinesi e il loro amore per le sfide è inutile stupirsi. Basta fare un giro a Macao o al Casinò del favoloso Marina Bay Sands Hotel di Singapore, per vederli in azione, ossessivamente.
Cosa diversa è notare i tentennamenti del governo cinese che, nonostante sia seduto su ben 3.800 miliardi di dollari Usa di riserve internazionali, tarda ad intervenire sul crollo del mercato, restando per così dire “dietro la curva” e inseguendo semmai un avvitamento delle quotazioni delle piazze domestiche.
Dopo la correzione dei primi di luglio (cui era seguito un significativo recupero), l’ultima settimana del mese si è aperta con un calo record dell’8.5% in una sola giornata. Un crollo che rimette in discussione i passi sin qui messi a segno sulle liberalizzazioni – e quindi l’apertura – dei mercati finanziari domestici: un passo però imprescindibile per accreditare lo yuan tra le divise di conto nazionale presso l’FMI entro il prossimo novembre, nonché un naturale percorso di avvicinamento graduale ai mercati finanziari più maturi e organizzati. Non a caso è imminente la decisione del London Metal Exchange di accettare lo yuan come collaterale per i partecipanti al mercato.
E’ vero che i numeri in Cina sono sempre qualcosa di estremamente difficile da governare, soprattutto quando 90 milioni di investitori retail si lanciano in investimenti speculativi a leva sulle azioni delle PMI e sulle relative IPO. Come risultato di questa corsa speculativa, i “margini” sono saltati all’istante durante la pesante correzione, provocando le necessarie liquidazioni delle posizioni e mettendo in ginocchio molti piccoli investitori.
Al tempo stesso diversi fondi ed hedge funds hanno dovuto ridimensionare la loro esposizione sui mercati del Sol Levante, a causa dei deflussi provocati da un immediato quanto comprensibile “effetto panico” dall’estero. Ciò non significa che siano scappati del tutto. Restano infatti in Cina i fondi investiti con modalità estremamente selettive, quindi sul listino di Hong Kong e sulle Top 50 del listino di Shangai, magari per cogliere i prossimi rimbalzi. Certo, si resta col rischio di incappare nelle lacune di un’insufficiente trasparenza informativa, che dovrà essere assolutamente colmata dalle Autorità di Mercato locali per ridare spazio alle IPO e sostegno a un mercato che è secondo al mondo per capitalizzazione, con oltre 1070 società quotate solo a Shangai.
Le altre scommesse possibili in Cina sono poi legate al lato consumi, che fa da perno alla nuova strategia economica del Premier Li. L’iniziativa di cooperazione internazionale denominata “One Belt One Road” è stata lanciata dal governo cinese meno di due anni fa, a supporto del nuovo modello economico che si sviluppa lungo la rinnovata “Via della Seta” Marittima ed Economica. Una strategia sancita con l’operatività della nuova banca multilaterale cinese AIIB, Asian Investment Infrastructure Bank, motore propulsore importante ma troppo recente per portare gli effetti sperati sulla crescita del PIL.
E se anche un autorevole ex membro della Banca Centrale cinese come Peng Junming, oggi CIO di Empire Capital Management Llp, dalle pagine del Wall Street Journal invoca una figura come Mario Draghi a rassicurare gli investitori, pare evidente l’impasse governativa che si sta vivendo in Cina con il Presidente della Consob locale (CSRC), che riporta al Consiglio di Stato, rischiando il posto per incapacità.
I mercati cinesi restano insomma sotto l’effetto di un corto circuito, che necessita di interventi importanti e duraturi sulla “rete” per ricostruire consenso, cosa non facile per uno stato autoritario in trasformazione. Come risultato gli asset cinesi stanno ora soffrendo tutti i limiti di una volatilità esacerbata dall’assenza di un’adeguata comunicazione nei confronti degli investitori. L’imponderabile è accaduto e questa lezione di capitalismo sarà preziosa per la Cina per recuperare in corsa sul lato economico ma non solo.