Non vi è dubbio che rispetto al 2008 il sistema bancario internazionale è molto più sano e solido. Lo si intuisce anche e soprattutto dall’osservazione dei credit default swap sulle obbligazioni senior o l’Iboxx sulle obbligazionarie subordinate che indicano livelli attuali simili a quelli del 2007, comunque livelli pre crisi, e non paragonabili ai picchi raggiunti con il fallimento di Lehman o sul debito sovrano dove si erano sfiorati i 700 basic points, quindi il triplo dei livelli attuali.
L’unico CDS che ha raggiunto i livelli della crisi europea 2011-2012 è la Deutsche Bank con la quotazione a 5 anni che ha toccato i 540 bp e i 552 bp a un anno, facendo segnare un nuovo massimo. L’indice STOXX Europe 600 Banks è sceso del 6% ai minimi dell’agosto 2012. Peraltro l’azione DB ha perso il 40% dall’inizio dell’anno.
Ma ciò che è veramente cambiato e che sminuisce il valore di quest’osservazione sta nell’impatto che l’impianto normativo ha avuto sui mercati obbligazionari e dei derivati di credito provocando una drastica diminuzione dei market maker, una concentrazione degli scambi sulle piattaforme e una minore liquidità sul mercato secondario più in generale.
Così nelle ultime settimane i prezzi sulla parte degli strumenti considerati più rischiosi – in questa nuova era del bail in – come le obbligazioni subordinate, vedono scambi rarefatti e carenza di compratori della carta sui circuiti di mercato. Scarsa liquidità quindi denotano sia i sottostanti che i derivati come è ovvio in una fase di avversione al rischio che ormai si estende su un track record di sette settimane di risultati negativi e di panic selling, amplificato da investitori esteri e fondi sovrani.
Se le preoccupazioni per il rallentamento cinese e un prezzo del petrolio eccessivamente basso, per la sostenibilità economica dei Paesi del Golfo e dell’OPEC, sono solo una parte del problema, una delle preoccupazioni principali risiede nell’ampliarsi del rischio sistemico e quindi su tangibili preoccupazioni di un aggravamento delle condizioni macroeconomiche che impediscano alla BCE come alle altre banche Centrali un’efficace lotta alla deflazione.
Così si arriva a congetture portate all’eccesso su una possibile recessione americana, ma ciò che è certo è che Draghi ha promesso più di quanto ha potuto fare in dicembre, esattamente quanto la Yellen ha ritardato per poi correre ai ripari sui tassi fuori tempo massimo. E se nel mese di gennaio i titoli Governativi parevano conservare una valvola di sicurezza contro la volatilità e il trend al ribasso in corso, questo mese di febbraio si apre con un allargamento degli spread anche delle curve governative dei Paesi periferici a tutto vantaggio di Gilt e Treasury.
Nessuno si azzarderà a chiudere le Borse per non ripetere un errore fatto dai russi e poi pagato a caro prezzo con la dissolvenza prolungata di certi attori primari, ma se né l’IMF né il G20 sono in grado di levare la propria voce sull’evidente disallineamento tra dati reali e quotazioni di Borsa a pagarne le conseguenze saranno così le prossime aste dei governativi e quindi tutti i Paesi impegnati nel roll over del debito in una rivisitazione della crisi sovrana europea di 5 anni fa.